andamento alluminio primario ue 2022

Riflessioni sul sistema alluminio in UE, sul deficit di metallo primario e su coraggiose scelte strategiche

Al post Covid-19, una fase ancora in corso, aggiungiamo il caro energia, e poi il conflitto in Ucraina: c’è materia per riflettere sulle conseguenze per produttori e utilizzatori dell’alluminio in Italia e in Europa.

L’andamento dell’alluminio primario in UE nel 2022

Un punto di partenza è la possibile situazione di shortage sul mercato mondiale dell’alluminio primario, stimata mesi fa intorno a 2 milioni di tonnellate sulle circa 70 milioni di tonnellate di fabbisogno mondiale, in parte conseguenza del fatto che la Cina nel biennio 2020/21 era stata importatrice netta di primario per 2,6 milioni di tonnellate. Diciamo era, perché è notizia recente che con straordinaria flessibilità la Cina si pone oggi di nuovo come esportatore sia di metallo primario sia di semis e prodotti di alluminio, e ne vedremo poi le possibili conseguenze.

Poiché gli elevati costi energetici in Europa hanno via via portato alla progressiva chiusura di molti smelter, in UE ci troviamo senza dubbio in una situazione di estrema vulnerabilità in quanto si produce solo meno di un quarto del primario indispensabile per alimentare l’industria a valle, poco meno di 2 milioni di t di grezzo primario prodotto contro i necessari 7,8 milioni di t di consumo.

In Italia addirittura non c’è più produzione di alluminio primario da molti anni, siamo totalmente dipendenti dall’import per tutto il fabbisogno, che è intorno ad 1,3 milioni di tonnellate/anno di primario rispetto a un consumo globale nazionale di metallo, primario + secondario, di 2,2 milioni di tonnellate (anno 2021).

A questo dobbiamo aggiungere, in considerazione del conflitto tuttora in corso, i possibili problemi di approvvigionamento di metallo russo. La Russiaè il secondo produttore mondiale di alluminio primario, vale il 6% del totale mondiale, ed è un fornitore essenziale di alluminioprimario per l’UE; la Russia ha coperto il fabbisogno europeo dello scorso anno per il 12% del totale e produce il 20% mondiale del metallo primario a bassa impronta di CO2.

Riguardo all’Italia, la quota di primario importata dalla Russia negli scorsi anni copre dal 10% al 15% del fabbisogno; tenendo conto della prevista condizione di carenza di metallo nel vicino futuro, non solo l’alluminioprimario russo appare difficilmente sostituibile in UE e conseguentemente in Italia, ma la sua mancanza per effetto di eventuali sanzioni potrebbe avere effetti molto rilevanti sulle quotazioni in borsa del metallo.

L’esperienza del 2018 con le sanzioni introdotte negli Stati Uniti portarono ad un’impennata del prezzo dell’alluminio superiore al 30% e per questo quelle misure furono cancellate alla svelta. Per dare un’idea del possibile effetto sanzioni, ricordiamo che le quotazioni LME del metallo erano rimaste sostanzialmente stabili nella fascia $1700 - $2200/t dal 2010 al 2020, dopodiché si è manifestata una forte spinta inflattiva sino ad arrivare quest’anno a quota $3900, con premi stratosferici sui pani ‘duty paid’ sino a oltre 600 dollari e sulle billette fino a sfiorare 1600 dollari.

Non appare una situazione confortante per il vecchio continente, eppure stiamo ancora mantenendo in vita un dazio all’import di primario in UE che non ha la minima giustificazione, ormai è solo una piccola rendita per pochi ed un extracosto di perdita di competitività del sistema europeo dell’alluminio rispetto al resto del mondo sino a quasi 200$/t.

Un poderoso freno a mano capace di spalancare le porte in UE all’alluminio cinese in tutte le forme, specialmente, viste le attuali condizioni di mercato, sotto forma di semilavorati, sia nel mercato europeo che in quello nord americano, in spietata competizione tra loro per soddisfare i fabbisogni interni di primario. È una triste vicenda quella del dazio sull’alluminiogrezzoprimario che l’insipienza e la miopia delle istituzioni ha lasciato volutamente irrisolta per decenni;ricordiamo che già nel 2011 lo studio “Competitiveness of the EU Non-ferrous Metals Industries” commissionato a ECORYS Research & Consulting dalla Commissione Europea, Direttorato Generale Enterprise & Industry, citava testualmente: “ I principali risultati di questa valutazione del regime tariffario dell’UE sono i seguenti: con l’attuale regime tariffario, la produzione di alluminio primario nell’UE non è cresciuta; gli investimenti per espandere la produzione sono stati effettuati al di fuori dell’UE,e la domanda dell’UE di alluminio primario è sempre più soddisfatta dalle importazioni.Concludiamo che i motivi per avere dazi all’importazione (di alluminioprimario) non sono molto forti. Uno dei principali fattori di costo che il dazio all’importazione dovrebbe compensare è il costo dell’elettricità. Tuttavia, l’utilizzo delle tariffe all’importazione come forma di compensazione per gli elevati costi energetici non affronta la questione fondamentale della competitività dell’elevato costo dell’energia per i produttori dell’UE; questo problema è da affrontare attraverso una politica energetica dell’UE e politiche adeguate ad affrontare le implicazioni dell’ETS”.

È passato un decennio e queste importanti raccomandazioni, pienamente confermate da studi approfonditi condotti nel 2015 e nel 2019 dalla Università LUISS di Roma sul sistema industriale dell’alluminio in UE, che valutava il sovra costo del dazio in circa 1 miliardo di euro l’anno (alle quotazioni del primario di allora - tra 1700 e 2200 $/t), sono rimaste inascoltate, e così siamo arrivati alla difficile situazione di oggi, con la evidente presa d’atto che questo dazio non ha salvato la produzione a monte, ma in compenso da decenni succhia soldi e danneggia l’intero downstream dell’alluminio nell’Unione Europea.

 

Fonte: A&L Aluminium Alloys Pressure Diecasting Foundry Tecniques