conseguenze dazio ue importazione alluminio

Le conseguenze ambientali e socio-economiche del dazio UE sull’alluminio grezzo

Una simulazione degli extra costi e del maggior impatto ambientale applicata all’industria automotive.

Il dazio UE sull’importazione di alluminio grezzo venne introdotto come noto diversi decenni fa per proteggere la produzione domestica di alluminio primario.

Lo spirito del provvedimento aveva precise motivazioni: salvaguardare una certa indipendenza nell’approvvigionamento di materie prime era importante da un punto di vista strategico, altrettanto importante era, da un punto di vista etico, contribuire per quanto possibile all’estrazione di risorse ambientali anche con il consumo del proprio territorio, con il corollario di poter sperimentare, applicare e diffondere migliori metodi nel mondo.

I risultati e le conseguenze del dazio UE sulle importazione dell’alluminio sono stati però deludenti, se non fallimentari. Certo, hanno concorso imprevedibili eventi esterni come i repentini cambiamenti socio-economici avvenuti a livello globale negli anni recenti, ma solo nel periodo 2008-2017 la produzione dell’alluminio primario è crollata in UE del 30% con la perdita di più di un quarto della capacità produttiva. Oggi si stima che manchi oltre il 70% del fabbisogno primario.

A fronte di un risultato così negativo rispetto alle finalità di “protezione” del sistema produttivo, vi sono purtroppo una serie di ulteriori conseguenze sia da un punto di vista ambientale sia da un punto di vista socio-economico che, sebbene estremamente rilevanti, vengono normalmente trascurate nel dibattito sugli effetti della politica commerciale.

Se ne può però offrire una rappresentazione esemplificativa simulando cosa sta accadendo nel caso concreto dell’automotive, ovvero uno dei più importanti settori delle moderne economie.

Le stime elaborate mostrano la quantità di CO2prodotta dalla lavorazione dell’alluminio grezzo necessario alla realizzazione del totale dei veicoli fabbricati in EU nel 2019 (fonte Ducker), ipotizzando quattro scenari distinti in funzione del differente contenuto di CO2 dell’alluminio grezzo. I quattro scenari si sono costruiti a partire dai dati disponibili relativi alla produzione di alluminio primario in tre differenti aree del mondo (Cina, Area del Golfo e Russia). Questi dati dimostrano che:

  • Alluminio primario 20t CO2/t: 60 milioni di tonnellate di CO2contenute;
  • Alluminio primario 10t CO2/t: 30 milioni di tonnellate di CO2contenute;
  • Alluminio primario 20t CO2/t: 12 milioni di tonnellate di CO2contenute;
  • Alluminio riciclato 0,4t CO2/t: 1 milione di tonnellate di CO2contenute.

Per verificare quale scenario sia più probabile si riporta una stima dell’extra-costo sostenuto dall’automotive in ragione della presenza del dazio sull’alluminio grezzo, calcolato sempre sulla base del contenuto medio per auto di metallo leggero (fonte Ducker). Il calcolo effettuato si basa sull’ipotesi che l’intero extra-costo sostenuto dalle imprese del downstream dell’alluminio venga “passato” alle industriea valle.
I dati calcolati dimostrano che l’extra-costo del dazio nel settore automotive per tipo di semilavorato (con una tariffa di 80 euro/t) è di:

  • 154 milioni di euro per fusione dell’alluminio;
  • 45 milioni di euro per i rulli d’alluminio;
  • 25 milioni per l’estrazione;
  • 14 milioni per la forgiatura.

 

Le conseguenze del dazio UE sulle importazioni dell’alluminio: si aggrava l’impronta di carbonio dei semilavorati d’alluminio

Se si considera dunque l’extra-costo generato dalla presenza del dazio, emerge chiaramente come l’esito di mercato nella realtà tenderà verso il primo dei quattro scenari, ovvero verso quello in cui è utilizzato l’alluminio grezzo con elevato contenuto di carbonio. La motivazione è riconducibile al fatto che il dazio genera un extra-costo per le imprese attive nella lavorazione dei semilavorati di alluminio (downstream) che, nel caso in cui possano aumentare proporzionalmente i prezzi dei propri prodotti, vedono inevitabilmente ridursi i propri margini e dunque i propri spazi di sopravvivenza.

La possibilità di pass-through può infatti essere ipotizzata solo per le poche imprese che dispongono di tecnologie all’avanguardia non disponibili extra UE e che, in ogni caso, sono destinate a essere imitate (eventualmente con tempi diversi in funzione della distanza tecnologica relativa). Negli altri casi, le industrie finali che utilizzano i semilavorati di alluminio tenderanno a privilegiare i fornitori esteri a basso prezzo.

Anche l’utilizzo della seconda materia prima, che vede aumentato il proprio spazio di mercato grazie al prezzo artificiosamente più alto conseguente al dazio UE sull’alluminiogrezzo, non può essere limitato in quanto rimangono comunque ridotti i margini di competizione sulla base del prezzo.

In sintesi, il risultato complessivo è quello di aver generato condizioni che rendono probabile l’acquisto di semilavorati di alluminio dall’estero da parte delle industrie downstream o, qualora possibile, incentivi a spostare la produzione all’estero, il tutto senza risolvere il problema ambientale.

Quanto evidenziato sottolinea la necessità oramai improrogabile di superare la sclerosi delle istituzioni europee che, intrapresa in altri tempi una strada (dazi all’import della materia prima grezza), non sono riuscite sinora a percepire correttamente i profondi cambiamenti avvenuti nella filiera e al contorno, modificando ragionevolmente il percorso anche quando la via imboccata si è dimostrata chiaramente sbagliata.

 

Fonte: A&L Aluminium Alloys Pressure Diecasting Foundry Techniques