L’importanza del riciclo dell’alluminio: il ruolo chiave dell’alluminio ecosostenibile
L’alluminio si presta molto bene al riciclo, è il materiale popolare da decenni per la sua caratteristica di essere una vera e propria banca di energia: ne richiede molta per essere prodotto negli smelter a partire dalla bauxite, ma ne conserva e ne restituisce altrettanta perché si recupera e si può fondere e riutilizzare indefinitamente, senza perdite di qualità.
I rottami di alluminio e sue leghe possono essere riutilizzati con perdite ridottissime e senza degradi significativi dei livelli qualitativi metallurgici e tecnologici. Oggi, circa il 75% di tutto l’alluminio primario prodotto in poco meno di 150 anni è ancora in circolazione e i tassi di raccolta dei rottami variano dal 10% al 90% a seconda delle regioni e dei prodotti.
I settori di uso finale ad alto valore, come quello automobilistico e delle costruzioni, e i paesi a reddito medio guidano i tassi di raccolta grazie all’attrattiva dell’occupazione nel settore della raccolta di rottami post-consumo. Per questo, l’integrazione dell’alluminio secondario con quello primario è una soluzione conveniente che materializza la straordinaria eco-sostenibilità del metallo leggero per:
- Risparmiare energia;
- Ridurre le emissioni settoriali;
- Salvaguardare l’ambiente.
In media, produrre una tonnellata di alluminio secondario genera, infatti, solo circa il 3% delle emissioni associate a una tonnellata di alluminio primario, con un consumo energetico del 5% di quello per la produzione primaria.
La grande valenza dei rottami di alluminio va riferita sia a quelli pre-consumo, derivanti dagli scarti di produzione, trasformazioni e lavorazioni di vario genere prima della realizzazione del particolare o del prodotto finale, che per quelli post-consumo, come lamiere, parti di automobili, vecchi telai di finestre, cavi elettrici, pentolame, contenitori per bevande, parti o componenti contenenti alluminio arrivati a fine vita. Non è roba di scarto da buttare, bensì un grande riserva di metallo leggero da poter rimettere in ciclo e riutilizzare.
Il riciclo dei rottami di alluminio
L’industria globale dell’alluminio da tempo è impegnata in larga misura a collaborare con i settori della gestione dei rifiuti e i governi per implementare le necessarie leve di raccolta dei rottami. Non si è trattato di pura elaborazione teorica, ci sono tanti casi pratici che danno atto dei risultati effettivamente raggiunti, esistono già studi di casi regionali su come massimizzare i tassi di raccolta, si può ragionare sui motivi per cui i tassi medi di raccolta degli imballaggi in Europa sono ad esempio diversi dal Brasile. Il caso dei vecchi rottami di alluminio dagli imballaggi è peraltro un interessantissimo caso di studio, è certo che la massimizzazione di recupero e riciclo in quest’area dipenderà da interventi normativi intelligenti, inquadrati in una combinazione di nuove tecnologie e un’attenta ridefinizione organizzativa di collaborazione lungo l’intera catena di valore, dai sistemi di restituzione dei depositi alle fasi di selezione ed efficiente infrastruttura di raccolta prima che l’alluminio raggiunga la discarica. Ciò che va tenuto presente è che riciclare bene l’alluminio dei vecchi rottami è un’operazione che richiede appropriate conoscenze e competenze tecnologiche, che prevedono operazioni e trattamenti specifici per raggiungere i requisiti di composizione chimica normativa.
Il primo problema è quello della composizione chimica, si parla di alluminio ma bisognerebbe parlare invece di decine e decine di diverse leghe a base di alluminio, contenenti diverse percentuali in peso di elementi di lega come rame, magnesio, silicio, zinco. Ogni lega, in funzione del tipo e dei contenuti degli alliganti, ha sue caratteristiche di resistenza, di lavorabilità, di saldabilità, di resistenza all’usura, di conducibilità, quindi diverse aree di impiego preferenziale, dalle carrozzerie di auto alle pentole, alle lattine, ai serramenti, ai conduttori elettrici.
Ci sono molte leghe diverse sul mercato, e le aziende utilizzatrici generalmente ne richiedono tipologie specifiche a seconda dell’impiego. È chiaro che i vecchi rottami da raccolta non hanno in principio una precisa carta di identità circa la composizione chimica; così quando nel periodo post-bellico sorse il problema di inventarsi nuove soluzioni alla necessità di risorse energetiche e finanziarie, prese corpo il concetto di recupero e riciclo partendo dalla abbondanza di rottami bellici. Costituiti da un’ampia varietà di leghe, questi venivano scaricati alla rinfusa e destinati alle fonderie di secondario. Erapur sempre riciclo, ma destinato a un mercato di esigenze e qualità inferiore e continuamente decrescente nel ciclo di recupero e riutilizzo del rottame, dopo un certo numero di cicli il materiale diventava in pratica spazzatura.
Aumentare la produzione di alluminio secondario
Oggi la necessità di ottenere, con il recupero, leghe di qualità va di pari passo con i progressi nell’accurata identificazione dei parametri chimici e metallurgici dei vecchi rottami, in modo da permettere la miglior selezione degli stessi in funzione delle esigenze delle fonderie di remelting. La massimizzazione della produzione di alluminio di derivazione secondaria, come è stato chiaramente indicato in un recente studio elaborato dall’international Aluminium Institute (l’organizzazione non governativa con sede a Londra, sorta nel 1972 per rappresentare l’industria globale dell’alluminio primario), richiederà un aumento dei volumi di rottami pre e post consumo disponibili per il riciclo, con l’obiettivo ambizioso di arrivare entro il 2050 a un rapporto percentuale di circa 55/45 di consumo globale di alluminio secondario/ primario.
Ciò può essere raggiunto solo se i leader del settore, i responsabili politici e gli operatori della gestione dei rifiuti saranno capaci di intraprendere iniziative collettive concrete sulla progettazione del prodotto, sulla raccolta e lo smantellamento a fine vita. È probabile che l’aumento della produzione secondaria debba affrontare alcuni ostacoli. In primo luogo, circa il 25%–30% dell’alluminio viene perso in ogni ciclo di utilizzo a causa della perdita di rottami di raccolta post-consumo e della perdita di lavorazione dei rottami pre-consumo.
Inoltre, i produttori di alluminio secondario tendono in molti casi a evitare di combinare lotti di rottami specifici della lega, il che si traduce ancora oggi in un downcycling del rottame che è un ostacolo alla creazione di efficienti sistemi a circuito chiuso.
Da non trascurare infine possibili problemi determinati dalle dinamiche di trading, non sempre prevedibili e controllabili, come ad esempio, eventuali divieti regionali di esportazione del rottame che potrebbero portare a situazioni di carenza di materiale sul mercato globale, con conseguenze locali perla produzione di metallo secondario. Non sono mancate nel nostro Paese chiare e precise prese di posizione nel corso degli anni recenti sui rischi possibili per il sistema locale dell’alluminio, considerando la netta tendenza al calo sulle produzioni in UE di primario e le emorragie di rottami verso molto paesi extraeuropei. Riportiamo a riguardo diverse denunce pubbliche, come quella del 2014 alla Tavola Rotonda di AFFG a Roma sul tema “L’industria dell’alluminio italiana: le condizioni per la competitività”, che indicava in sintesi le linee per lo sviluppo futuro del sistema alluminio.
Da sottolineare anche la posizione critica di Face, la Federazione Europea dei Consumatori di Alluminio, che nel 2019, riprendendo le posizioni espresse sin dal 1998, denunciava ancora una volta alla Commissione Europea l’onereper i consumatori per l’effetto del dazio sul metallo grezzo, come valutato negli studi dell’Università LUISS di Roma sul downstream EU dell’alluminio. Facendo presente in particolare che: “...il dazio del 6% sull’alluminio primario costa ai trasformatori e agli utilizzatori UE tra 1 e 2 miliardi di euro all’anno, la cifra dipende dalle quotazioni LME del metallo. Parte di questo maggior onere viene riversato nelle tasche dei produttori europei di grezzo, parte beneficia i paesi extra UE esportatori di metallo, specialmente quelli che godono di preferenze tariffarie con l’Unione. Il 55% del primario importato in UE proviene da tre paesi (Norvegia, Islanda e Mozambico) che godono dello stato duty free”.
È chiaro che da parte dell’industria ci sono stati da tempo e con continuità segnali precisi circa le esigenze di base. I decisori ai vari livelli nazionale ed europeo hanno avuto le informazioni giuste, esistono quindi i presupposti per poter definire le corrette strategie e politiche industriali, ma non dimentichiamoci dei tanti ostacoli che le numerose lobbies contrarie continuano a porre, impedendo un pari livello all’accesso del metallo grezzo e ostacolando il percorso dell’alluminio secondario ad assumere pienamente il ruolo che merita nella decarbonizzazione del settore.
Fonte: A&L Aluminium Alloys Pressure Diecasting Foundry Tecniques